Una questione di dignità
Vogliamo concentrarci su due utilizzi della stessa parola nel Vangelo di questa domenica che si ritrovano sulla bocca dei due fratelli quando si relazionano con il padre. Il figliol prodigo si prepara tutto il discorsino prima di andare a casa e sottolinea quando si presenta davanti a suo padre: “Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”, è un discorso di dignità. E l’altro fratello quando si ritrova a sentire la musica della festa e vuole capire che cos’è annota l’evangelista che “Si indignò”. Uno dei due fratelli non è più degno di essere chiamato figlio, l’altro si indigna. Quindi potremmo dire, senza forzare l’esempio biblico, che il Vangelo di questa domenica parla della dignità.
Dignità di creature e di figli
Quale dignità? La dignità dei figli di Dio dice l’evangelista Giovanni, oppure l’apostolo Paolo direbbe: del fatto di essere nuove creature. “Se uno è in Cristo è una nuova creatura”. La dignità che noi riceviamo dalla creazione, dalla volontà di Dio che ci ha creato persone con la dignità umana, e la dignità dei battezzati è ciò che ci viene donato attraverso la croce di Cristo che ci fa diventare non soltanto creature redente ma anche nuove creature, cioè ci rende partecipi di una condizione, di una dignità appunto, che è quella dei figli di Dio. La dignità allora è un tema estremamente attuale. È qualche cosa, da un alto, che ci viene donato da Dio e, dall’altro lato, è qualche cosa che costruiamo anche noi con le nostre opere. Costruiamo anche noi la nostra dignità esercitando la nostra libertà per corrispondere alla volontà di Dio. Per cui la dignità di figlio è qualche cosa che non possiamo degradare, come non possiamo degradare quella di creature.
L’illusione di crearsi una dignità senza il Padre
Il figliol prodigo pensa che ci possa essere qualche cosa di più bello, che fa diventare più felice e stare meglio dell’essere un figlio in casa del padre. Quindi chiede i soldi che gli spettano, utilizza i suoi diritti, pensando di andare a realizzare un sogno migliore di quello che gli offre suo padre. Egli pensa che essere creatura, essere figlio sia qualcosa che non vale niente perché c’è qualcosa di molto meglio: la vita bella senza la fatica, l’impegno, il sacrificio, la responsabilità. Pensa così di potere andare a costruirsi una dignità migliore di quella che gli ha dato il padre quando lo ha creato e gli ha dato la vita. Questo è l’inganno di quando l’uomo vuole fare senza Dio e rifiuta la sua volontà pensando che sia peggiorativa del suo desiderio di felicità. Si costruisce dei diritti che apparentemente sono il miglior sviluppo dell’uomo ma, in realtà, sono il degrado, l’autodistruzione dell’uomo. Infatti, dopo che ha sperperato tutti i beni divorandoli con le prostitute, si trova in una crisi bene peggiore di quella in cui ci ritroviamo da ormai dieci anni.
Degradare la nostra dignità da figli a servi
L’altro fratello vive in casa ma fa nello stesso modo in cui si decide di comportare il figliol prodigo quando torna a casa, cioè degrada la sua dignità da figlio a servo, da figlio a lavoratore. Questo fratello che rimane in casa non ha con il padre confidenza, filialità e fiducia, capacità di confidarsi e parlare di se stesso. Struttura la relazione con suo padre non da figlio ma da servo. Dunque, alla fine, questo fratello è convinto che la dignità gli venga dal denaro, dal lavoro, dalla rivendicazione di una libertà che è frutto di una indipendenza acquisita a prescindere dal legame con suo padre. È come dire che quel figlio maggiore preferisce vedere nel padre un datore di lavoro che permette di arricchirsi piuttosto che un padre con cui condividere l’intimità, l’essere più profondo. Io voglio stare per i fatti miei, farmi la mia vita e voglio che il padre dica che me la posso fare, perché se me lo dice sarò veramente autonomo. C’è una schiavitù che è frutto di un fraintendimento su cosa è la libertà. Questo fratello vuole che sia il padre ad autorizzarlo a non avere rapporti con lui. Ma figuriamoci se un padre può dire al figlio che è veramente se stesso quando misconosce il suo legame con lui.
Noi non siamo come dei computer
Anche questo è un modo per degradare la dignità dell’uomo. C’è chi sopravvaluta la dignità pensando che ce ne sia più bella di quella che ti dà Dio e c’è chi la sottovaluta, pensando che sia migliore qualcosa che vale di meno. Ciascuno di noi elabora la propria idea di cosa significa essere persone degne. Occorre riflettere per essere veramente noi stessi che non siamo delle macchine o dei robot e la natura umana non consiste nel fatto che Dio ci ha messo in testa e nel cuore un “programmino” e noi siamo come dei computer e dobbiamo solo spingere il tasto invio e la nostra vita deve andare automaticamente nel migliore dei modi. Questo concetto della dignità umana a sua volta è riduttivo.
L’uomo vuole decidere da solo cosa è la dignità
Il motivo per cui quella civiltà cristiana dentro la quale siamo bati e cresciuti e vissuti non è più capace di determinare la soggettività dell’uomo e le relazioni sociali è perché ci troviamo di fronte a persone e comunità che concepiscono la dignità umana proprio nello stesso modo in cui la concepiscono i due fratelli come ho cercato di restituirvi considerando il testo biblico. L’uomo di oggi dice: “La verità me la faccio io. Che cosa significa la dignità umana lo decido io”. E dice anche: “I miei diritti sono soltanto ciò che io determino con l’assolutizzazione della mia volontà e libertà”. Al punto che se il Papa dice: “Stiamo attenti a non considerare l’aborto è un diritto umano” ci rendiamo conto che invece noi viviamo in un mondo per cui l’aborto è un diritto umano, perché ciò che significa essere uomo, donna e persona è determinato dal fatto la dignità è fare quello che si vuole.
Il ritardo della Chiesa sui diritti della soggettività
E, d’altro lato, che chi dice che la dignità è rinunciare alla libertà. Siamo d’accordo con il Papa e Parolin quando dicono che bisogna anche stare attenti a come si dicono le cose perché se no si ottiene l’effetto contrario, se noi concepiamo la dignità umana come un programma computeristico. La nostra civiltà cristiana di fronte ai diritti della soggettività ha vissuto due secoli abbondanti di storia della Chiesa di rifiuto di queste cose: “La dignità umana? Il soggetto umano? La libertà personale? I diritti individuali? Noi non prestiamo attenzione a queste cose …” Il Cardinal Martini dice che siamo indietro di duecento anno, è vero. Perché non sappiamo rievangelizzare, non abbiamo le categorie mentali perché ci sentiamo d’accordo con una parte per alcune cose, con l’altra per altre e non riusciamo a mettere insieme i punti.
La necessità di evangelizzare la cultura
Quindi come si fa? Vuol dire che noi non abbiamo evangelizzato la cultura e abbiamo pensato che senza evangelizzare la cultura la società sarebbe rimasta cristiana. Evidentissimamente la società non è rimasta cristiana. Allora abbiamo una alternativa secca: o ci scristianizziamo anche noi, o rievangelizziamo la società. Ma per farlo dobbiamo riconciliarci con noi stessi e sviluppare la nostra fede, far camminare la nostra interiorità e riconoscere che la vera dignità non è indignarsi con gli altri e pensare che anche la fede diventa un modo tale per cui ciascuno si fa i fatti suoi.
Il rischio della fede come fatto privato
Oggi, se lo consideriamo attentamente, la ridefinizione del cristianesimo sulla spinta del soggettivismo è che la fede è un fatto privato, personale, ciascuno la vive a modo suo, anche nella Chiesa: ognuno prega come vuole, canata come vuole, suona come vuole, va un po’ di qua e un po’ di là… Siamo di fronte all’evidenza che anche noi facciamo in questo modo.
Il rischio di rigurgiti di totalitarismo
Oppure dall’altro lato corriamo il rischio di dire: “Bisogna che arrivi sulla terra di nuovo Gesù Cristo e dica: si fa così e tutti facciamo così o niente”. Sono rigurgiti di totalitarismo questi. Ma la fede non è un totalitarismo. Il padre al figlio i soldi li dà. Non dice: “Adesso ti tratto come ti meriti, sei un disgraziato!” e quando torna non dice: “Di grazia che ti do il salario minimo!”. Quindi da un alto il soggettivismo più estremo, dall’altro il totalitarismo.
Rievangelizziamoci per ritrovare l’armonia e la misericordia
Occorre che ci rievangelizziamo dentro la comunità cristiana con la grazia di Dio per trovare l’armonia, la comunione, la misericordia che diventa una pazienza che è la sola forza capace di cambiare veramente il cuore dell’uomo, di non farci rimanere degli esecutori esteriori arrabbiati come il figlio maggiore, che è molto arrabbiato. “Io ho fatto tutto alla perfezione”. Sì tutto alla perfezione, ma non fatto per amore. Ritroviamo la comunione, l’armonia, la grazia di Dio, la forza del Vangelo e ricomprendiamo quale è la nostra dignità di battezzati, che non c’è un dono più grande e una realtà più preziosa del battesimo.
…nessuno escluso, perché Dio fa così
Noi diciamo: “Sì, il battesimo…ma poi c’è la macchina, il conto in banca…”. Riscopriamo la nostra dignità di figli di Dio e di battezzati, la nostra dignità alla luce del banchetto che stiamo celebrando, quel banchetto eucaristico che è la sorgente della comunione, dell’armonia e della riconciliazione, perché se c’è una cosa che il mondo fa fatica a vivere oggi è proprio la riconciliazione, il perdono la pazienza la lungimiranza di dire: “Ti do un’altra possibilità”. Invece no, uno è un delinquente ancora prima di aver fatto qualcosa. Chiediamo al Signore che ci aiuti ad essere una famiglia dove l’amore di Dio Padre passa attraverso il nostro modo di comportarci, di dare dignità a noi stessi, quella dignità che solo Dio ci può dare e di condividerla con i nostri fratelli e sorelle e, dobbiamo dire, nessuno escluso, perché Dio fa così.