Se non andiamo a vedere il testo greco diventa difficile comprendere la pagina di Vangelo di questa domenica rispetto all’altra affermazione che nelle domeniche precedenti ci ha fatto Gesù. Oggi dice che la carne non giova a nulla. Ma come? È già da alcune domeniche che Gesù dice che la sua carne è la vita e che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non ha la vita eterna!
Abbiamo già ipotizzato la possibilità di comprendere che il cristiano non è un cannibale quando riceve il corpo e il sangue di Cristo perché si nutre della sua divinità, e dunque di una realtà che trascende la nostra condizione terrena ed è più grande della nostra realtà di creature, e questa domenica Gesù che dice che la carne non giova a nulla (Gv 6). La Parola di Dio si sbaglia? O siamo noi a sbagliarci se non riusciamo a capirla bene? Qualcuno potrebbe pensare che la Parola di Dio si sbagli e portare come esempio la vicenda di Galileo Galilei, a cui fecero rinnegare le sue teorie scientifiche perché affermava cose che, a giudizio di chi le riteneva erronee, non erano nella Sacra Scrittura. Senonchè si è poi capito che Galielo Galilei non solo faceva una teoria scientifica corretta ma interpretava anche correttamente la Sacra Scrittura quando diceva che la Parola di Dio ci insegna non “come va il cielo” ma “come si va in cielo”, proprio commentando uno dei passi del libro di Giosuè che abbiamo ascoltato nella prima lettura a proposito della famosa espressione: “Fermati, o sole”.
Ci sono due parole in greco per indicare la parola “carne” in italiano: sarx e soma. Nel prologo di Giovanni quando si dice “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, la parola che viene utilizzata è sarx, mentre la parola di questa domenica in greco è soma. Ecco che abbiamo trovato la chiave per comprendere che non c’è contraddizione in quello che dice Gesù perché, se è vero, come è vero, che la Madonna Immacolata nel suo grembo dà la natura umana al Figlio di Dio che è di natura divina, vuol dire che la carne che prende Gesù quando si incarna è senza peccato, e quella è sarx. Invece soma è la carne quando è deturpata e corrotta dal peccato. Dunque se volessimo passare dalle categorie bibliche di san Giovanni a quelle di san Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, sarx è la carne destinata alla resurrezione – perché Gesù quando risorge ha un corpo, dunque c’è una carne incorruttibile – soma, invece, è il corpo corruttibile. L’apostolo Paolo ripetutamente dice che c’è l’uomo interiore – quello non che è dematerializzato, cioè che non ha bisogno del corpo, perchè noi siamo creati anima e corpo – che si rinnova di giorno in giorno, mentre quello esteriore, cioè quello che ha il corpo corruttibile si disfa, si corrompe progressivamente. Gesù questa domenica ci aiuta a comprendere che lo Spirito Santo che dà la vita e la resurrezione è tale per cui occorre entrare nella logica del Vangelo quando dice: “Chi perde la propria vita la trova, e chi vorrà salvare la propria vita la perderà”. Occorre distinguere bene tra le opere che facciamo – ricordiamo che Gesù le scorse domeniche ci ha detto che l’opera da compiere è l’opera della fede – perché ci sono delle opere che danno l’illusione della felicità e opere che danno la pienezza della felicità.
Non è un caso che nella prima lettura troviamo la scelta di fede del popolo di Dio, il popolo sceglie di non seguire i falsi dei ma di osservare la legge di Mosè e dunque di aderire all’unico vero Dio che è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Questa scelta di fede è difficile; lo dice Gesù: “Volete andarvene anche voi?”. Il Signore non è disposto a cedere sulla sua proposta perché sa che se cambia una virgola salta tutto quello che lui è venuto a donare, viene vanificato, sciupato e sprecato, e non giova alla salvezza dell’uomo. Dunque il Signore insiste e dice: i miei discorsi vi sembrano duri ma c’è qualcosa di ancora più duro che bisogna vivere. Lo dice espressamente: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il figlio dell’uomo salire là dov’era prima!”. Siamo al capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, che ne ha ventuno, e Gesù sa che l’ora della croce sarà ancora più dura del discorso che ha fatto. Infatti sotto la croce ci saranno Maria, Giovanni e alcune donne. Tutti gli altri scappano, si addormentano nell’orto degli ulivi e scappano impauriti; addirittura Pietro rinnega Gesù. È l’ora oscura e vivificante della croce.
Le opere che il Signore ci chiede di compiere sono quelle di chi sa distinguere a che cosa deve rinunciare perché ha capito cosa deve scegliere. Questo è il vero discriminante per riuscire a fare un discernimento vero – cioè capire le scelte giuste da fare – ci sono cose a cui dobbiamo saper rinunciare per raggiungere i veri beni che ci danno l’unica felicità che dura per sempre. E dunque i beni a cui rinunciare, molto spesso, scopriamo che sono dei falsi beni, degli idoli, falsi beni che sono dei mali in realtà; pensare che da certe cose ci possa venire un giovamento e che in realtà ci danneggiano. Quali potrebbero essere queste realtà?
Se mettiamo lo sguardo sulla seconda lettura vediamo che la realtà della relazione coniugale è un bene rispetto al quale occorre fare un discernimento autentico; proprio in questi giorni il papa è in Irlanda per l’incontro mondiale delle famiglie. La seconda lettura ci parla proprio del fatto che il sacramento del matrimonio è il riflesso della relazione tra Cristo e la Chiesa e ci aiuta a cogliere, in particolare, che tutti noi abbiamo bisogno – anche noi nel mondo cattolico – di riflettere sul fatto che uno dei fraintendimenti di questa parola che ripetutamente usa l’apostolo Paolo – “sottomissione” – è alla base di fatiche e di difficoltà. L’apostolo Paolo dice che occorre che le mogli siano sottomesse ai mariti. E lo dice tante volte. Diciamo bene che si tratta di una sottomissione che non legittima la considerazione errata della superiorità dell’uomo sulla donna, ma siamo tutti d’accordo nel dire che nel corso dei secoli anche all’interno dei vissuti della Chiesa c’è stata questa idea: che l’uomo è superiore alla donna e quindi la sottomissione deriva dal fatto che la donna è inferiore. Questa è una interpretazione sbagliata perché, se ci fermiamo alla prima parte della seconda lettura, la sottomissione potrebbe anche essere concepita come abbiamo appena detto, ma, nella seconda parte, si legge che il marito è capo della moglie come Cristo è capo della Chiesa e ha offerto se stesso per lei. Come dire che i mariti hanno le mogli sottomesse nella misura in cui sono disposti a morire per loro come ha fatto Gesù sulla croce. È una sottomissione reciproca in cui il Signore dice che chi vuol essere il primo si deve mettere all’ultimo posto: tu, marito, vuoi essere il capo della moglie? Devi essere disposto a morire per lei, cioè a metterti al di sotto di lei. Diciamo bene che la sottomissione di cui parla Paolo è una sottomissione di reciprocità tra l’uomo e la donna, il marito e la moglie. Questo significa che il sacrificio vicendevole, l’affetto tra marito e moglie è di una reciprocità a imitazione della relazione che c’è tra Cristo e la Chiesa, in virtù del fatto che il legame non è di dominio quanto piuttosto di servizio e di donazione.
Se nel nostro mondo Occidentale 50 anni fa è esploso il ‘68 e tutti i movimenti femministi che hanno voluto esagerare dall’altra parte una concezione producendo una considerazione disarticolata e squilibrata rispetto alla parità dei sessi invertendo il maschilismo, un motivo ci sarà stato; vuol dire che le nostre lentezze – che sono diverse dalle prudenze, distinguiamo bene la lentezza dalla prudenza – non sono innocue. Se noi come comunità cristiana, infatti, fraintendiamo la Parola di Dio e non configuriamo i nostri atteggiamenti, le nostre relazioni e i nostri stili di vita alla effettiva importanza e al significato della Parola di Dio, noi facciamo dei danni, sia alla Chiesa che alla società. Pensiamo alle parole molto dure del papa – che purtroppo da alcuni non vengono ancora ritenute sufficienti, ma diventa difficile pensare a cosa potrebbe dire di più duro – rispetto ai gravi reati di cui si sono macchiati all’interno della Chiesa anche dei ministri ordinati. Come dire, c’è una mentalità antropologica, cioè una concezione dell’identità dell’uomo e della donna che, alla fine, finisce per fare del male anche al modo in cui noi arriviamo a concepire i sacramenti; non solo il sacramento del matrimonio ma anche quello dell’ordine o anche altre realtà sacramentali e vocazionali. Perché legittimare una certa idea di uomo e donna, maschio e femmina, significa deturpare il disegno della creazione e confondere il significato della carne intesa come sarx – cioè nella sua originaria bontà creaturale che Cristo ha fatto propria dopo che Dio Padre l’ha creata una volta che è asceso alla destra del Padre nel suo vero corpo di risorto – e una realtà di corporeità che è segnata dal vizio, dalla corruzione e dalla negatività, in una parola dal peccato originale e dalle sue conseguenze. Dunque, un equilibrio delle relazioni coniugali e familiari, dunque, basato sul senso autentico della Parola di Dio ha degli effetti benefici nella vita e nei legami della comunità cristiana e della società.
Significa, per noi, rinunziare ad un determinato modo di pensare, convinti che abbiamo già capito al meglio il valore della Parola di Dio, rendendoci invece conto che tale modo è perfettibile e dunque ha degli aspetti sbagliati che dobbiamo dimenticarci e purificare, da cui discende un migliorare la nostra condotta e le nostre relazioni interpersonali, perché la famiglia sia riflesso della Trinità e, conseguentemente, ci sia una catechesi, una evangelizzazione, uno stile di vita più sereno tra le persone, più rispettoso, più conforme alla dignità della persona umana, più capace di essere ricettivo della grazia di Dio, più espressivo dell’opera dello Spirito Santo. L’opera di Dio, la grazia di Cristo rende più umana la vita, cioè più bella, più serena, più gioiosa, più lieta. La vita cristiana non è una catena che ci tiene imprigionati per impedirci di fare più danni di quelli che già facciamo. Questa è una concezione della vita cristiana limitata e limitante. La vita cristiana è la liberazione serena degli affetti buoni, delle emozioni e dei sentimenti, della capacità di amare matura che è passata attraverso il sacrificio ed è passata attraverso la purificazione abilitante a distinguere ciò a cui bisogna rinunciare in vista di un vero bene che ci cambia la vita. C’è una controprova di questo nell’insistenza del papa sul tema della gioia. Se siamo dei cristiani gioiosi, quello è l’effetto di una capacità vera di vivere una sottomissione reciproca, questo è il senso autentico dell’interpretazione del testo biblico tra l’uomo e la donna, il marito e la moglie.
Ci aiuti il Signore ad essere cristiani gioiosi che seguono la Parola di Dio anche quando è dura, ci aiuti ad attraversare il nostro fiume Giordano, proprio come ha fatto il popolo di Israele, per entrare nella terra promessa della nuova evangelizzazione, basata sulla capacità di ascolto (non dimentichiamoci dello shemà Israel, cioè del fatto che l’agire di Israele è l’ascolto di Dio). Occorre che ci lasciamo alle spalle quelle forme inadeguate con cui abbiamo pensato di capire il Vangelo – certamente tante cose buone ci sono –; per essere come dice l’evangelista Matteo, come quel discepolo, che era scriba e si rifaceva all’antica alleanza, che, una volta divenuto discepolo del Regno di Dio, è capace di tirare fuori dal proprio tesoro cose antiche e cose nuove. Ci aiuti il Signore a far fruttificare le cose nuove della Parola di Dio che ci sono affidate nel tempo che stiamo vivendo.
Omelia nella 21esima domenica del tempo ordinario anno B
La foto è un’opera della pittrice Gina Fortunato http://www.maisondartpadova.com/fortunato-gina/