Recensione apparsa su «Divus Thomas» 3 (2015), pp. 236-242

di Emanuele Pili, Università di Genova

F. Bellelli, Etica originaria e assoluto affettivo. La coscienza e il superamento della modernità nella teologia filosofica di Antonio Rosmini, Vita e Pensiero, Milano 2014, XXIV-377 pp.

1. Il libro di Fernando Bellelli, Etica originaria e assoluto affettivo. La coscienza e il superamento della modernità nella teologia filosofica di Antonio Rosmini, si presenta come uno studio serio e originale, capace di ricostruire un percorso filosofico-teologico tanto fondato quanto inedito.

Collocato con pertinenza nell’ampio orizzonte della cosiddetta “quarta fase” degli studi rosminiani, il lavoro di Bellelli intende leggere il pensiero di Rosmini con Rosmini e, di concerto, dialogare con le più recenti prospettive aperte dalla tarda (post-)modernità, a partire da uno sguardo attento all’ambiente fenomenologico, e in particolare all’opera di Emmanuel Lévinas.

Il taglio della ricerca è marcatamente teoretico, e tuttavia non scade in interpretazioni superficiali o filologicamente e storicamente poco precise. Anzi, oltre all’accorta definizione del contesto storico, è da apprezzare il continuo e rigoroso riferimento ai testi del Roveretano, talvolta citati ampiamente, che permettono al lettore di entrare, pagina dopo pagina, nelle profondità della speculazione di Rosmini. Quest’ultimo, nota Bellelli, nella sua capacità di intercettare le novità e le positive istanze promosse dalla modernità e di metterle in dialogo con la grande tradizione classica, è riuscito ad offrire al proprio tempo una sintesi extra-ordinaria. Talmente extra che, in definitiva, non è stata recepita nella sua reale portata. Il risultato è che ancora oggi, e forse “proprio” oggi, non dimenticando gli importanti guadagni delle tre fasi interpretative precedenti, è rimasto molto da lavorare, nell’attuale quarta fase, per dischiudere l’effettiva virtualità del pensiero rosminiano. Lo studio di Bellelli, incardinato nella traditio dei lavori su Rosmini, ma con gli occhi rivolti alle problematiche contemporanee, procede esattamente in questa direzione.

Il tema portante del libro, articolato in sei capitoli distinti in due parti, è la concezione rosminiana della coscienza morale, considerata nella sua genesi, nel suo significato ontologico e antropologico e, infine, nella sua ripresa in dialogo con la post-modernità. Non è un caso, dunque, ed è bene sottolinearlo, che dietro l’interpretazione di Bellelli svolga un ruolo importante, direi decisivo, il pensiero sulla coscienza credente maturato nella scuola di Pierangelo Sequeri, il quale apre ad un’ermeneutica di Rosmini ancora più stimolante ed attuale. Tuttavia, al di là di ciò, e senza togliere al lettore il piacere della scoperta, vorrei concentrarmi solo su alcuni degli snodi principali della riflessione di Bellelli, che mi pare rendano conto dei principali guadagni del suo lavoro.

2. La prima parte del volume porta alla luce l’originalità della posizione rosminiana in merito alla coscienza morale ed alla sua strutturale apertura alla rivelazione. Attraverso la ricostruzione di alcuni momenti chiave della elaborazione antropologica e teosofica di Rosmini, Bellelli riprende – tra il resto – la ricerca dell’esatta definizione di essere umano. Il Roveretano, analizzando le varie denominazioni prese in esame – in particolare, quelle di Platone e Aristotele, poi esasperate nelle concezioni postcartesiane dopo l’abbandono del riferimento all’unità sostanziale di corpo e anima presente in San Tommaso –, si mostra convinto di un evidente e intrinseco deficit ad esse attribuibile. Infatti, tra “l’uomo è una intelligenza servita ad organi” e “l’uomo è un animale ragionevole” mancano due aspetti decisivi: da un lato, il vincolo tra gli organi e l’intelligenza, dall’altro, la volontà, che costituisce anch’essa una parte essenziale dell’uomo. In Rosmini, così, nasce l’esigenza di approfondire e valorizzare il ruolo della volontà, arrivando ad esplicitare come essa si istituisca appunto come il vincolo tra gli organi e l’intelligenza o, per esprimerci meglio, tra la dimensione reale (sentimento, soggetto) e ideale (intuizione, oggetto). L’uomo, in altre parole, rimane totalmente incomprensibile, per Rosmini, se non si tiene in adeguata considerazione la volontà, la quale porta con sé la dimensione dell’affezione, della moralità, della santità. Di fatto, poi, la giusta attenzione a questa dimensione propriamente umana comporta il mostrare come essa venga a realizzare il nesso, il vincolo, la relazione, l’unità di reale e ideale, costituendosi in un principio, che è proprio la forma morale dell’essere.

Il momento della volontà, inquadrato nel registro dell’affezione, come ciò che dona unità all’essere umano, è studiato da Bellelli tenendo in considerazione sostanzialmente l’intero arco della produzione rosminiana, ma con particolare riguardo a quel movimento di pensiero che passa tra il Trattato sulla coscienza morale e la Teosofia. In questa seconda, infatti, la portata del vincolo viene sprigionata in tutta la sua ricchezza ontologica. L’essere, in quanto tale, è originariamente sintesismo di realità, idealità e moralità. Ma ciò, appunto, comporta assegnare dignità ontologica alla realtà dell’affetto e, come ha notato Sequeri, proprio «l’intuizione rosminiana a proposito di un originario e radicale intreccio dell’essere e dell’affezione ha di che apparire […] come un novum da mettere seriamente al lavoro» (p. XIII).

Bellelli, pertanto, procede nell’approfondimento del ruolo dell’essere morale in riferimento, soprattutto, alla questione della formazione della stessa coscienza morale. E, così, le conclusioni alle quali egli giunge, al termine di un ampio percorso intelligentemente articolato, sono di grande rilievo. Secondo Rosmini, infatti, la coscienza morale emerge nel giudizio speculativo di un giudizio pratico almeno del secondo ordine di riflessione. “Giudizio speculativo”, perché la coscienza, per dirsi tale, si realizza come termine di un movimento intellettivo per il quale il soggetto si trasporta nell’oggetto e rientra nel soggetto (= riflessione, inoggettivazione soggettiva); “di un giudizio pratico”, poiché, se la coscienza è coscienza morale, allora essa esprime una riflessione sulla bontà, o meno, di un atto della volontà, e dunque di un atto morale. Il second’ordine di riflessione esprime, poi, la qualità ontologica dello spirito che, mediante il sentimento, trascende la natura, evidenziando la sua relazionalità originaria.

Da qui, discendono almeno due importanti conseguenze. Da un lato, emerge come l’atto morale, di per sé, possa verificarsi senza che ve ne sia coscienza (si pensi, ad esempio, a quando viene compiuta un’azione moralmente lodevole, ma che si scopre come lodevole solo dopo, o molto dopo, aver compiuto quell’azione medesima). Dall’altro, si può intravedere che il venire a sé della coscienza passa da un trasferirsi nell’oggetto, che è l’essere ideale, il quale contiene in sé, e può graziosamente manifestare, Dio stesso: il venire a sé della coscienza manifesta, in tal modo, la strutturale e intrinseca, ontologica e antropologica, apertura del soggetto all’esperienza della rivelazione (per inciso: si noti anche che la coscienza certifica la realtà della persona come relatio subsistens di soggetto e oggetto). Questi due guadagni della riflessione rosminiana sono fondamentali nella lettura di Bellelli, il quale non può che attestare «la sconcertante attualità di Rosmini, a pieno titolo post-moderna attualità» (p. 83).

3. Viene così inaugurata la seconda parte del saggio. Essa si propone di mettere Rosmini a servizio del pensiero post-moderno, avvicinandosi all’opera di Lévinas, la quale – indubbiamente – costituisce un più che autorevole sviluppo delle prospettive di studio sulla coscienza e sull’apertura all’alterità del divino. All’interno del contesto della cosiddetta “svolta teologica della fenomenologia”, il riferimento a Lévinas sembra particolarmente pertinente, poiché pone al centro della riflessione il tema etico: «la morale – afferma il filosofo francese – non è un ramo della filosofia, ma la filosofia prima» (Totalità e infinito, Milano 1980, p. 313). Dunque, la svolta etica lévinasiana si presta ad entrare in relazione con il pensiero rosminiano.

Se, da un lato, Lévinas aveva rifiutato la prospettiva dell’ontologia, da egli stesso considerata intrinsecamente violenta e totalizzante (nella sua versione tradizionale), dall’altro, proprio a partire da una rinnovata attenzione alla moralità, egli matura l’importanza di una metafisica capace di oltrepassare il soggettivismo e considerare l’apertura alla diversità e alla trascendenza. Senza entrare nei dettagli, ciò che preme evidenziare è come il limite di tale prospettiva (portata avanti anche da altri pensatori) consista nella tendenza ad appiattire, nei termini di Rosmini, la dimensione dell’essere ideale e morale. Bellelli, pertanto, mostra come dietro l’operazione di Lévinas prema, latente, l’invocazione di una nuova ontologia e che quest’ultima, nondimeno, debba tenere in debito conto del pensiero del filosofo roveretano.

Gli esiti ed i guadagni che emergono dall’indovinato confronto proposto dall’Autore sono diversi e rilevanti, oltre che felici. Ne evidenziamo qui uno in particolare, che Bellelli individua nel sintagma sensibilità per il senso (sintagma che si riferisce esplicitamente allo stesso termine coniato da Sequeri). Valorizzare ontologicamente il piano dell’affetto significa, infatti, valorizzare ontologicamente la dimensione della sensibilità. Quest’ultima, nella storia del pensiero cristiano, sebbene abbia una funzione indispensabile nella significazione dell’atto di fede – come peraltro è stato riaffermato oggi con rinnovata forza almeno dal Concilio Vaticano II –, non è sempre stata valutata con il dovuto giudizio, ma, anzi, in taluni casi è stata perfino vista negativamente per la sua ambiguità: per un verso, infatti, essa permette l’incontro con Dio, per l’altro, tuttavia, resta un elemento corruttibile, passeggero.

Ora, in Lévinas, tale interesse per la sensibilità si configura nella riproposizione delle tematiche etiche, le quali poi, mettendo in luce lemmi come bisogno, affidamento, disposizione, sfociano in una metafisica del desiderio e/o della carità. In fondo, però, come abbiamo detto, quest’ultima manca di un fondamento ontologico che Rosmini, invece, sembra poter offrire a partire da uno studio approfondito della sua dottrina sul sentimento fondamentale e, più specificatamente, sul suo concetto di essere (di “stoffo”) spirituale. Nell’indagine del Roveretano, in effetti, sebbene l’argomentazione sugli affetti, prima di questo lavoro, non sembrava potersi dire così centrale, è rinvenibile una certa tensione – che Bellelli ha il merito di evidenziare come un elemento portante del sistema rosminiano – a non catalogare la sensibilità come esclusivamente e irrimediabilmente corporea, separata dallo spirituale: v’è, piuttosto, una sensibilità spirituale corporea, una capacità di percepire e reagire al senso, al bene, a Dio, che non è da leggere in senso empiristico e non è da omologare sul piano dell’ideale (intelletto o volontà che sia). Si tratta di sottolineare con pertinenza quel punto relazionale nel quale reale e ideale com-baciano, si toccano, si sentono reciprocamente (Bellelli porta in luce come, in Rosmini, tale sottolineatura sia fondata proprio a partire da una puntuale interpretazione di Tommaso d’Aquino). Si tratta di rivalutare quella peculiare capacità dell’essere morale che si realizza nell’unire distinguendo e nel distinguere unendo la sfera della soggettività e quella dell’idealità. Si tratta, nel linguaggio di Bellelli, di qualificare ontologicamente la dimensione dell’affettività, l’idea cristiana di agape, che ancora oggi rimane troppo legata ad analisi puramente psicologiche. L’urgenza di tale compito, peraltro, in chiave di dialogo tra filosofia, teologia e scienze umane, è stata opportunamente segnalata anche da Papa Francesco: «la luce della fede, in quanto unita alla verità dell’amore, non è aliena al mondo materiale, perché l’amore si vive sempre in corpo e anima; la luce della fede è luce incarnata, che procede dalla vita luminosa di Gesù. […] Lo sguardo della scienza riceve così un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile» (Lumen fidei, n. 34).

In Rosmini, perciò, la realtà dello “stoffo” spirituale dischiude – in nuce – tutto il suo potenziale ontologico, il quale oggi attende di essere adeguatamente sondato, anche «come antidoto ad ogni forma di riduzionismo» – nota Nunzio Galantino nella Postfazione (p. 324) –, avvalendosi di uno scavo profondo dei testi rosminiani.

4. Le due parti del lavoro di Bellelli, presentate sopra – come dicevamo – solo per alcuni dei principali guadagni alle quali approdano, meritano attenta meditazione, considerando l’obiettivo teologico-fondamentale, anche per il versante propriamente teologico, che presenta significativi risvolti e acquisizioni. La coscienza antropologica, infatti, mediante la riflessione svolta relativamente al rapporto tra naturale e soprannaturale in Rosmini, è posta a tema come apertura alla rivelazione, e dunque come coscienza aperta alla dimensione cristologico-pneumatologico-trinitaria. Viene così a delinearsi un rispettoso e fecondo dialogo tra filosofia e teologia, nel quale i saperi vengono epistemologicamente connessi nell’attenzione alla loro specifica e legittima autonomia. Il frutto principale, da una parte, è quello di dare corpo a riflessioni inedite a riguardo delle implicazioni filosofiche, soprattutto in ambito antropologico, di elementi teologici quali: il peccato, la grazia, la giustificazione, la redenzione, la salvezza e la relazione tra la libertà di Dio e la libertà dell’uomo. Dall’altra, l’originalità filosofica della prospettiva rosminiana sul tema della coscienza offre alla speculazione teologica strumenti teoretici tali da permettere allo stesso dato teologico di essere interpretato in modo nuovo: ci riferiamo, ad esempio, all’individuazione dell’esteriorità e della sensibilità come specificazione del trascendentale pulchrum, rispettivamente in qualità della rivelazione cristologica e della determinazione del soggetto umano, così come della valenza ontologico-sacramentale del simbolico, munus del quale è l’evidenza fenomenologica della pro-affezione come determinazione originaria dell’assoluto. Inoltre, la stessa sensibilità per il senso offre la possibilità, abilmente sfruttata da Bellelli, dell’«approfondimento del tema dell’etica teologica della verità» (p. 321), nell’intreccio di ethos, logos e pathos, e nella irriducibilità di agape/charitas, intreccio nel quale la carne di Gesù «è percepibile come l’assoluta relatio subsistens che è la Trinità» (p. 322). Questo percorso, nondimeno, risulta molto sintonico con quanto affermato nella recente Laudato si’ di Papa Francesco: «Non si può sostenere che le scienze em­piriche spieghino completamente la vita, l’intima essenza di tutte le creature e l’insieme della real­tà. Questo vorrebbe dire superare indebitamente i loro limitati confini metodologici. Se si riflette con questo quadro ristretto, spariscono la sen­sibilità estetica, la poesia, e persino la capacità della ragione di cogliere il senso e la finalità delle cose» (n. 199).

5. Lo sforzo speculativo di Fernando Bellelli, almeno per i motivi qui brevemente esposti, è da considerarsi coraggioso, dagli esiti stimolanti e provocanti. Il lavoro proposto, ben argomentato, necessita di essere portato avanti poiché, per molti aspetti e soprattutto per la vastità del campo di indagine, pare appena cominciato. Ma la via, proprio nel senso del méthodos, è ormai tracciata e segue quell’atteggiamento intellettuale, giustamente richiamato dall’Autore, auspicato da Benedetto XVI: «serve un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione. Un simile pensiero obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione. Si tratta di un impegno che non può essere svolto dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l’apporto di saperi come la metafisica e la teologia, per cogliere in maniera illuminata la dignità trascendente dell’uomo» (Caritas in veritate, n. 53).

http://www.academia.edu/26569008/Recensione_a_F._Bellelli_Etica_originaria_e_assoluto_affettivo._La_coscienza_e_il_superamento_della_modernit%C3%A0_nella_teologia_filosofica_di_Antonio_Rosmini_Vita_e_Pensiero_Milano_2014

Il volume è disponibile al seguente link: http://www.vitaepensiero.it/scheda-libro/fernando-bellelli/etica-originaria-e-assoluto-affettivo-9788834328293-231715.html